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A Ceuta, dove inizia l'Europa e finisce l'umanità

di Gianluca Mavaro

Nell'enclave spagnola in Marocco sono in vigore leggi speciali che creano privilegi, abusi e una cintura di sicurezza omicida. Ceuta è un porto franco che assicura a poche imprese un fiorente commercio speciale, esente da tasse. Un paradiso fiscale redditizio che impiega e sfrutta i poverissimi transfrontalieri marocchini. A questi lavoratori la legge offre uno status giuridico che sembra fatto apposta per vivere senza diritti. La città è considerata anche un avamposto difensivo contro una pressione migratoria incessante. Non solo respingimenti illegali, i controlli serrati possono portar via la vita di chi prova espedienti rischiosi e pericolosi per raggiungere l'Europa, tra loro tanti adolescenti. I minori, per le autorità più difficili da rimpatriare, rimangono nel limbo ceutino, esclusi e discriminati. Ad alcuni è toccata la morte, accasciati in mezzo alla strada o schiacciati tra i container del porto. E così in città l'estrema destra è diventata maggioritaria.


Non una crisi ma un sistema


Quella di Ceuta non è una crisi improvvisa, perché non è scoppiata semplicemente con l'ultima invasione di massa: 8mila persone lasciate passare dalla polizia marocchina per far uno sfregio alla Spagna.


Ceuta è il simbolo del fallimento di un'economia spietata, è la fortezza di un'Europa che non sa più assicurare i diritti fondamentali degli esseri umani. Ceuta è terra di privilegi, disuguaglianze e torture. E gli interventi pubblici stanno soltanto aggravando il quadro.


Paradiso fiscale, inferno salariale


Le leggi sul commercio e la fiscalità rendono Ceuta un vero e proprio covo per il contrabbando legalizzato, un porto franco a beneficio di pochi.


Questo perché la merce che arriva nel porto non viene importata nell'Unione europea ed è esente quindi - grazie a una finzione giuridica - da Iva ed ogni altra imposta rilevante, come qualsiasi bene acquistato a Ceuta. Niente di meglio per multinazionali e grandi imprese locali che hanno eretto grandi magazzini a ridosso del porto.


In secondo luogo non esiste una dogana commerciale tra Marocco e Ceuta: i controlli alla frontiera - il passo del Tarajal II - sono solo sulle persone. Questa è una conseguenza del fatto che formalmente il regno alauita considera Ceuta un territorio occupato. Pertanto non è possibile esportare legalmente da Ceuta al Marocco. Di ciò si avvantaggiano le imprese che gestiscono i flussi di merci, grazie anche a regole particolari sugli spostamenti delle persone.


Da Schengen il pass per la servitù


Margini di profitto alti sono garantiti da una manodopera speciale, cioè quella dei transfrontalieri. Chi vive nelle province marocchine limitrofe ha il diritto di entrare a Ceuta senza chiedere un visto, ma solo ad una certa ora: si tratta di un tipo di permesso particolare che scade al calar de sole. Perché, è la spiegazione della politica, serve solo per lavorare o fare compere o affari, non per pernottare. Il permesso è previsto da un patto aggiunto all'accordo di Schengen. Ne possono usufruire - attraverso semplice carta d'identità - i marocchini che vivono nei distretti di Tetuan e Nador.


Il lasciapassare rappresenta un'occasione irripetibile per chi vive nel nord del Marocco, tra le zone più povere del Paese magrebino: il 'gap' tra redditi e sviluppo umano registrati a Ceuta e quelli oltre il confine è tra i più alti del mondo. La frontiera ceutina col Marocco è segnalata come la più diseguale d'Europa. Prima dell'esplosione della sindemia, arrivavano a passare il confine ogni giorno tra le trentamila e le quarantamila persone, per una città con poco più di 80mila abitanti.


Nelle province di Nador e Tetuan è diffusa la pratica di prendere in affitto fittiziamente gli immobili più disparati e inabitabili pur di ottenere la residenza lì e ottenere così il lasciapassare per Ceuta. Fiorente anche il traffico di documenti completamente falsi o lo 'scambio' di quelli originali.


Intere famiglie invisibili


In questo modo l'economia cittadina è sorretta da lavoratori sottopagati marocchini, che spesso si trasferiscono irregolarmente nell'enclave perché hanno lì i loro interessi, familiari e amici. Non è necessario avere un contratto o un lavoro per passare il confine e quindi tutti possono cercare fortuna in Spagna, cioè a Ceuta. I transfrontalieri che si stabiliscono lì non sono residenti e non hanno diritto a sanità e istruzione. I loro figli non possono essere iscritti alle scuole spagnole e vivono a Ceuta spesso semianalfabeti. Associazioni e media locali riferiscono anche di casi di bambini, figli di spagnoli e con carta d'identità spagnola, che non possono andare a scuola o aver un medico. Né a Ceuta, né in Marocco. Vivendo nella frontiera più ingiusta d'Europa anche i diritti di una madre e del suo bambino di sei anni possono dissolversi nel nulla.


Hashish, Isis e donne in carcere


Tra il quartiere più ricco e quello più povero ci sono appena cinque chilometri da percorrere lungo collina e litorale, la differenza nel reddito medio, invece, è di oltre 20mila euro. Il rione de El Principe si trova in cima alla città: lì vivono gli immigrati marocchini, molti senza permesso, tra baracche ed edifici trasandati.


Tra i residenti del barrio è diffusa la disoccupazione, tanto quanto il contrabbando di alcool (vietato in Marocco) e droghe, soprattutto l'hashish. Oltre un quinto delle donne arrestate in Spagna provengono dall'enclave. La marginalizzazione ha provocato radicalizzazione: nel 2015 il quartiere ghetto di Ceuta è stato al centro dell'immaginario nazionale sullo Stato islamico, quando sono state arrestate diverse presunte reclute dell'Isis. Al rione era stata intitolata una (s)fortunata serie tv dedicata ai terroristi. E non ha aiutato.


Los menas: giovani e dispersi


Un altro dramma tutto ceutino è quello dei "menas" (da 'minore non accompagnato'): gli adolescenti immigrati che tentano il salto. Non solo metaforicamente, dall'Africa all'Europa, dato che per migrare si lanciano in pericolosi espedienti ed acrobazie. Lo chiamano «fare risky» ed è un gioco letale. Si tratta per lo più di giovani marocchini o in minor parte provenienti altri Stati africani. Hanno tra gli undici e i sedici anni.

Menas a Ceuta

Arrivano a nuoto - difficile visti i controlli serrati - o attaccandosi al di sotto (o all'interno) del telaio dei veicoli transfrontalieri. Oppure saltano sui camion nell'istante preciso tra l'avvenuto controllo doganale e la ripartenza del mezzo oltre la frontiera. Si feriscono o perdono la vita nel tentativo. Quelli che riescono a passare senza venire respinti alla frontiera finiscono poi per vivere per le strade dell'enclave, emarginati: sbarcano il lunario in attesa dell'occasione per imbarcarsi illegalmente verso la Spagna. Una volta compiuta la maggiore età possono venire rimpatriati.


Guardie e ladri letale


Così nel porto di Ceuta ogni giorno si assiste a un increscioso e pericolosissimo carosello tra poliziotti e ragazzi che cercano di intrufolarsi in tutti i modi all'imbarco verso Algeciras. Su internet si possono trovare video che mostrano non solo le pericolose peripezie e le condizioni di vita in cui versano questi giovani, ma anche toccanti interviste ad adolescenti e bambini che sognano un futuro migliore. Le autorità nel frattempo innalzano nuovi muri, sempre più alti, impiegano più poliziotti, installano telecamere e sensori. Si spendono milioni di euro - europei e spagnoli - per bloccare questi ragazzi. «Muri per bambini», li chiama l'Associazione per i diritti umani dell'Andalusia.


Il documentario (2019) che racconta la vita dei ragazzi "dimenticati" di Ceuta


Lo scoppio dell'emergenza ha ridotto questo via vai: i ragazzi sono stati accolti in case e comunità e tenuti sotto osservazione. Il Marocco ha chiuso la frontiera, giocando al rinvio con Madrid riguardo alla data della riapertura. Ciò non ha fermato del tutto i flussi. «Ogni giorno ne arrivavano almeno quattro-cinque, alcuni di questi annegavano nel silenzio, le notizie della loro morte ormai hanno solo risonanza locale», racconta Carlos Lorente, educatore sociale attivo a Ceuta. Con la recente ondata di ottomila persone «il centro d'accoglienza supplementare, aperto eccezionalmente per la pandemia, sta accogliendo 1.500 minori appena arrivati. Per la prima volta ci sono pure tanti bambini, anche sotto i sei anni. Alcuni chiedono di tornare a casa, altri iniziano dirigersi ogni giorno al porto per cercare di imbarcarsi illegalmente. E poi - continua Lorente - ci sono quelli che vogliono rimanere, aiutati dalle proprie famiglie, per accedere all'istruzione gratuita spagnola», non garantita in Marocco.


Disposti a tutto perché prigionieri


Fino allo scorso luglio la Spagna negava il diritto a muoversi verso la Penisola a chi arrivava a Ceuta e lì chiedeva asilo. Questo creava persone disposte a tutto pur di raggiungere le coste spagnole. Dopo tanti anni è stata la Corte Suprema a metter fine a questa pratica, reclamata dal ministero dell'Interno come necessaria per disincentivare l'immigrazione. "Valido solo a Ceuta", si leggeva sui documenti consegnati ai richiedenti asilo. Le pronunce della magistratura non hanno però sempre assicurato questo diritto. La pratica resta illegale ma la polizia l'ha applicata anche ai migranti 'accolti' alle Canarie: in cinquemila erano rimasti prigionieri sull'isola di Tenerife fino a un nuovo recente ordine del giudice.


Fare richiesta d'asilo, in ogni caso, è una fortuna destinata solo a una parte delle persone che riescono a varcare la frontiera. Le autorità spagnole, infatti, rendono impossibile realizzare richieste di asilo a Ceuta, lo dicono anche i numeri: mentre nel resto di Spagna aumenta il numero delle domande, ciò non accade nell'enclave al centro un flusso continuo. Questo perché chi arriva a Ceuta viene respinto, illegalmente, senza che la sua posizione venga esaminata.


Affollamento ed emarginazione, la destra ringrazia

Il quadro di un'accoglienza che non funziona è aggravato poi dalle condizioni di affollamento e dall'inadeguatezza dei programmi di inclusione e istruzione riservati ai minori accolti nel centro di Ceuta. Molti scappano dal centro per minori La Esperanza. E cercano alternative o rischiose soluzioni.


I menas sono riconosciuti, temuti ed emarginati da gran parte degli abitanti ceutini. L'intolleranza infatti è esplosa, insieme al consenso per l'estrema destra. Il partito Vox è diventato il primo partito a Ceuta, raggiungendo il trentacinque percento alle ultime elezioni nazionali. Non aiuta il comportamento delle autorità centrali spagnole, considerato che quelle locali denunciano di aver speso dodici milioni di euro nel 2020 per l'assistenza ai minori non accompagnati e averne ricevuti poco più di due dallo Stato.


Il commercio 'informale' e la tratta delle donne mulo: morire per 20 euro


Per anni - fino all'esplosione della pandemia - la tratta delle 'porteadoras' a Ceuta è continuata senza sosta: sono lavoratrici senza tutele e dai diritti violati. Donne caricate come muli e pagate venti euro al giorno per trasportare la merce da Ceuta al Marocco, eludendo ogni imposta a vantaggio dei loro datori di lavoro irregolari. Vestiti, scarpe, tende, prodotti di elettronica, ferramenta, pezzi di ricambio e cosmetici. Il commercio genera almeno quattrocento milioni di euro che si muovono dentro faldoni pesantissimi trasportati in condizioni lavorative inumane, così tanto che le donne morivano travolte nella ressa, creatasi per il poco tempo a disposizione e il rischio di non portare a casa la paga.


C'è il virus e il Marocco gioca con la frontiera


Il business spietato è fermo ora che il Marocco ha chiuso il passaggio. Il regno alauita applica le norme anti-contagio ma ha l'intenzione nemmeno troppo tacita di soffocare l'economia dell'enclave. Le porteadoras nel frattempo sono finite in totale miseria: il porteo era il loro principale sostentamento.


Chi, invece, faceva lavori domestici a Ceuta e non ha potuto farvi ritorno, è stato sostituito. Qualcuno al contrario è rimasto bloccato dentro l'enclave, ha trovato lavoro durante l'emergenza ed è stato poi raggiunto irregolarmente dai familiari. Si alimenta così il bacino di irregolari fantasma.


Nel 2021 erano già esplose le rivolte a Castillejos, la città più vicina. E sono divampate in questi giorni: dopo un anno di miseria «la popolazione si sente ingannata dalle promesse del governo marocchino su nuovi posti di lavoro mai realizzati. Le autorità hanno abbindolato la popolazione e gli studenti invitandoli in massa a superare il confine», spiega Carlos Lorente. "Cristiano Ronaldo è a Ceuta e faremo una gita", era la voce che si era sparsa in alcune scuole elementari. Qualcuno ha anche organizzato dei pulmini. Una mossa becera per dar fastidio a Madrid.

Ceuta insegna


Come abbiamo visto, non sono certo gli screzi tra Rabat e Madrid la causa della realtà drammatica delle frontiere: i confini diventano il luogo dove i diritti si dissolvono e le persone sono trattate come animali. Altri casi sono quelli del Centro-nord America e dell'Europa centro-orientale. Dalla Grecia ai Balcani, fino alla situazione in Turchia. Particolare anche il caso della frontiera tra Italia e Francia.


L'unico risultato raggiunto dalle politiche migratorie è quello di rimanere dipendenti, quando non ricattati, da controversi personaggi, quali il trafficante libico Bija o il presidente turco Josip Erdogan. I cittadini europei finanziano così con le proprie tasche violazioni dei diritti umani: quelli italiani hanno pagato per l'addestramento e l'equipaggiamento della cosiddetta 'Guardia costiera libica'. Allo stesso tempo l'Unione europea e singolarmente gli Stati sfruttano le risorse dell'Africa incidendo su redditi e tenore di vita delle popolazioni locali, come nel caso dell'accordo sulla pesca Ue-Senegal.







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