di Ruggero Tantulli
Vittoria schiacciante dell'Apruebo in Cile, con il 78,27%. Va in soffitta la Carta della dittatura, in vigore dal 1980 e ritoccata solo formalmente dopo il ritorno alla democrazia. «Un trionfo di tutti i cileni», riconosce il presidente Piñera. Festa e balli in piazza. Ora un'Assemblea da eleggere il prossimo aprile e un anno per la nuova Costituzione
Addio Pinochet. Con il voto di domenica 25 ottobre, che approva a stragrande maggioranza la stesura di una nuova Costituzione, finisce l'ultimo retaggio della dittatura cilena. Quello più solido: la Carta imposta nel 1980, in piena era pinochetista, rimasta in vigore per 40 anni nonostante la caduta del generale con un altro plebiscito - quello del 1988 - e nonostante il ritorno formale alla democrazia nel 1990.
I risultati del referendum
L'esito del referendum è stato schiacciante: Sì (Apruebo) 78,27% - No (Rechazo) 21,73%.
Per una nuova Costituzione hanno votato 5.885.384 cileni, contro i 1.633.868 che hanno votato per il mantenimento della Carta attuale.
Non c'è stata partita nemmeno nel secondo quesito, quello sulla composizione dell'Assemblea Costituente: 5.645.412 cileni (il 78,99%) hanno scelto una nuova Assemblea totalmente eletta dai cittadini, contro i 1.501.569 (il 21.01%) che hanno scelto un'Assemblea mista, ovvero composta per metà da cittadini eletti e per metà da membri del Parlamento.
L'affluenza è stata superiore al 50%: il voto più partecipato dal 1990, nonostante le restrizioni e le difficoltà legate alla pandemia di Covid-19.
Anche il voto in Italia ha registrato una netta prevalenza dei Sì: 421 a 101 tra i seggi di Roma e Milano, presso il Consolato cileno.
Le reazioni
«Ha prevalso l'unità sulla divisione, la pace sopra la violenza. È un trionfo di tutti i cileni», ha commentato il presidente del Cile Sebastián Piñera, che fa buon viso a cattivo gioco.
«È l'inizio di un cammino che tutti insieme dobbiamo intraprendere», ha aggiunto riconoscendo la chiara volontà popolare.
Per le strade del Cile, intanto, già dai primi dati si sono registrate feste in piazza fino al coprifuoco notturno dovuto al coronavirus, dalla capitale Santiago a Valparaíso, con balli, canti e bandiere. In particolare quella mapuche, simbolo della comunità indigena più radicata nel Paese sudamericano - e che ora dovrà ottenere un riconoscimento anche a livello costituzionale - e quella cilena.
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Un anno di mobilitazioni
Un trionfo assoluto, figlio delle mobilitazioni popolari nate il 18 ottobre 2019, quando un piccolo aumento del prezzo dei biglietti per la metropolitana ha scatenato una protesta totale. Dentro la quale sono confluite tutte le recriminazioni di un popolo prigioniero di un sistema discriminatorio, che valorizza solo il settore privato a scapito di quello pubblico. E non a caso il Cile conosce livelli di disuguaglianza astronomici: i più ricchi (pochi) vivono come in Europa, i più poveri (molti di più) come in Bangladesh o in Mongolia.
Un Paese "ricco" ma abitato da poveri, con un PIL pro capite di poco inferiore a quello italiano ma concentrato in pochissime mani. Mani gelose di un sistema spazzato via con questo referendum, ottenuto proprio grazie all'estallido social che ha causato oltre 30 morti e migliaia di feriti, molti dei quali accecati dai proiettili di gomma dei carabineros de Chile, più volte denunciati dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani.
Che succede adesso
Ora il processo costituente è stato avviato: l'11 aprile 2021 i cileni saranno chiamati a votare nuovamente per eleggere i componenti dell'Assemblea che redigerà la Costituzione. I 155 eletti, che saranno equamente divisi tra uomini e donne in perfetta parità, con una delegazione di rappresentanti delle comunità indigene, avranno un anno di tempo per confezionare la Carta, che verrà sottoposta a referendum per l'approvazione finale. Ma per ora c'è tempo di festeggiare.
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