di Francesco Cecchini
Sono passati 15 mesi dalla comparsa del movimento di protesta algerino Hirak. Nato inizialmente contro la candidatura di
Abdelaziz Bouteflika a un quinto mandato, si è poi dato l'obiettivo di un radicale cambio di sistema. Con la scusa del Covid, il governo ha arrestato militanti e giornalisti, rompendo la tregua pattuita con il movimento. Un docufilm racconta le aspirazioni dei giovani algerini, che non vogliono emigrare ma vivere liberamente in patria. Costruendo uno Stato che garantisca diritti e giustizia sociale
«Un giorno la parola tornerà alla gente. Anche se la notte sembra lunga, il giorno e il sole finalmente sorgeranno» (Hocine Ait Ahmed, militante rivoluzionario, difensore delle libertà politiche).
Hirak è una parola araba, mai usata prima in Algeria, che significa movimento, sia politico che sociale. In Algeria l'Hirak è iniziato il 22 febbraio 2019, inizialmente contro la candidatura di Abdelaziz Bouteflika a un quinto mandato (a cui ha poi rinunciato, dimettendosi il 2 aprile 2019), poi per un cambio radicale di sistema. Lo slogan gridato era «Yetnahaw gaa» («Andatevene tutti»).
In un'intervista al quotidiano algerino El Watan il 29 giugno 2019, lo scrittore Kamel Daoud ha così fotografato la situazione: il regime è biologicamente finito, ma coloro che stanno protestando devono darsi dei rappresentanti e passare a una fase di ricostruzione. Un limite, questo, che l'Hirak non ha ancora superato.
Dal 22 marzo scorso il governo algerino ha deciso per il lockdown totale e il coprifuoco dalle 15 alle 7 del mattino nelle maggiori città del paese, usando però l'epidemia di Covid-19 per mettere a tacere i suoi avversari e vendicarsi dei militanti dell'Hirak.
Molti sono i casi di arresti di attivisti dell'Hirak e di giornalisti che lo avevano appoggiato, tanto da affollare le carceri del paese.
Il Comitato nazionale per la liberazione dei detenuti ha così dichiarato: «In questo periodo di totale confinamento degli algerini, il ceto dominante sta attivando le sue macchine di repressione: accelera la controrivoluzione cercando di reprimere tutte le voci discordanti». Non esistono dati ufficiali, ma il Comitato non ha smesso di pubblicare i nomi di coloro che sono stati imprigionati.
Di fronte all'emergenza sanitaria l'Hirak aveva chiesto una tregua, che è stata rispettata dal movimento, ma non dal potere algerino. Tuttavia l'Hirak, malgrado la sospensione momentanea delle manifestazioni, non è morto. Gli attivisti hanno già annunciato il loro ritorno quando l'emergenza sarà finita.
Nel frattempo l'Hirak ha una voce: Radio Corona Internationale, fondata negli Stati Uniti dal giornalista Abdallah Benadouda. Inoltre gli attivisti si sono mobilitati nella lotta contro il coronavirus, con campagne di sensibilizzazione sui social. Si organizzano per disinfettare i luoghi pubblici, produrre mascherine e altri dispositivi di protezione, gel disinfettante e fornire aiuto a chi ne ha più bisogno in questa situazione d'isolamento sociale, espongono bandiere dell'Algeria dai balconi, cantano cori di solidarietà con i detenuti e molto altro.
Un docufilm sull'Hirak
Il documentario Algérie mon amour di Mustapha Kessous, giornalista e regista, è stato trasmesso martedì 26 maggio alle 20:55 su France 5 con un dibattito. La pellicola dà voce a cinque giovani algerini impegnati nell'Hirak.
Mustapha Kessous, di origine algerina e anche di nazionalità francese, ha scritto libri su ciclismo e calcio e prodotto il documentario Français d’origine contrôlée.
Così ha raccontato Algérie mon amour: «Questo film racconta l'Algeria vista dal basso e dritta negli occhi. Gli attivisti vogliono gridare al mondo: "Vi diremo cosa stiamo attraversando perché nessuno ne ha idea, non conoscono la gioventù algerina. Ascoltateci ora! Non potete non ascoltarci". È vero che non ho trascorso troppo tempo a sondare ciò che hanno nei loro cuori. Nonostante la repressione, comunicano la loro volontà di vivere liberamente, di vivere tout court. Inoltre, nonostante quanto si dice, il loro obiettivo non è lasciare l'Algeria per la Francia o il Canada. La loro aspirazione non è di vivere come gli occidentali, ma di avere chiaramente una vita libera, per costruirsi un futuro in Algeria. Danno prova di patriottismo e amore, e le parole che vengono ascoltate nel film sono soprattutto una dichiarazione d'amore per il loro paese».
In Algeria, comunque, il docufilm ha ricevuto delle critiche negli ambienti dell'Hirak.
La cantante Amel Zen, per esempio, ha dichiarato: «Dobbiamo scrivere la nostra storia, noi stessi! In modo che nessuno ci insegni. Le richieste di Hirak sono chiare: eliminare un sistema per costruire lo stato di diritto e le libertà, che ovviamente includerebbero il rispetto delle libertà individuali e della giustizia sociale».
Qui il trailer di Algérie mon amour in francese: https://www.youtube.com/watch?v=1whWpTwQkrw
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