Salgono a oltre 700 i feriti dopo gli scontri di venerdì vicino a Cochabamba. Ultimatum dei cocaleros alla neo-presidente Añez: 48 ore per dimettersi. E dal Messico Morales chiede di tornare in patria
Ventitré morti e 715 feriti dal 20 ottobre scorso, giorno delle elezioni presidenziali in Bolivia. Con gli scontri di venerdì 15 novembre tra manifestanti e forze di sicurezza vicino a Cochabamba, in cui nove persone sono morte e 122 sono rimaste ferite, si aggrava il bilancio delle proteste contro l'autoproclamata presidente ad interim Jeanine Añez. A confermare l’entità degli incidenti avvenuti nel fine settimana è la Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh), che ha anche condannato il decreto di impunibilità penale per i soldati impegnati nella repressione delle manifestazioni. La norma, approvata dal governo presieduto dalla senatrice alla vigilia del giorno più cruento dall’inizio della crisi, esenta dalla responsabilità penale i militari che partecipano alle «operazioni per ristabilire l’ordine interno e la stabilità pubblica», purché «in legittima difesa o in stato di necessità». «Non è una licenza di uccidere», replica il ministro della Presidenza Jerjes Justiniano.
A infiammare le proteste dei sostenitori di Evo Morales, costretto alle dimissioni dalle opposizioni e dai vertici militari boliviani - che contestavano la legittimità delle consultazioni - sono i coltivatori di coca del Chapare, una delle 16 province del dipartimento di Cochabamba. Proprio i cocaleros boliviani - di cui otto sono stati uccisi negli scontri di venerdì - lanciano l’ultimatum alla «presidente golpista»: 48 ore di tempo per dimettersi e rimettere il mandato. Se Añez non lo farà, riporta il quotidiano El Deber, verranno bloccate a tempo indeterminato tutte le vie di comunicazione stradali. Oltre alla dimissioni del Capo di Stato, i manifestanti chiedono anche l’immediato ripiegamento delle forze armate da Sacaba.
Dal Messico, intanto, dove si è auto-esiliato, Morales torna a parlare della Bolivia, chiedendo di poter tornare in patria almeno per «finire il suo mandato presidenziale». Intervistato da Al Jazeera, il leader di Mas (Movimiento al socialismo) ribadisce di non volersi candidare per nuove elezioni. «Non posso vivere fuori dal mio Paese, sono abituato a stare con la gente come sindacalista e come presidente», spiega l'ex capo di Stato, che sta «cercando un espediente legale per tornare ed essere di nuovo a fianco del popolo che sta resistendo contro la dittatura». Era stata proprio la neo-presidente Añez Chávez ad avvertire Morales sui rischi di un possibile ritorno: «Sa che dovrà rispondere alla giustizia, è stato commesso un reato elettorale e ci sono molte accuse di corruzione nel suo governo».
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