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Le critiche al 'modello svedese'

di Ruggero Tantulli

«Penso che abbiamo fallito. Abbiamo avuto molti morti e il popolo svedese ha sofferto tremendamente». Così il re di Svezia Carlo XVI sulla gestione minimizzatrice di Stoccolma nei confronti del Covid. Un modello, quello svedese, tutt'altro che vincente. Tra morti, stress sanitario e dimissioni di massa


«Penso che abbiamo fallito. Abbiamo avuto molti morti e il popolo svedese ha sofferto tremendamente». A pronunciare queste parole, durante un'intervista che andrà in onda il 21 dicembre sull'emittente svedese SVT, è stato il re del Paese scandinavo, Carlo XVI.


La Svezia ha registrato 350mila casi di Covid-19 e 7.800 vittime su un totale di circa 10 milioni di abitanti. Numeri non proprio lusinghieri, ben peggiori rispetto a quelli dei vicini Norvegia, Danimarca e Finlandia. Ma la particolarità del 'modello svedese', assai discusso, è stata quella di un approccio 'soft' nella gestione della pandemia.


Nulla a che vedere con l'inerzia assoluta nella speranza di ottenere l'immunità di gregge - una strategia suicida che nemmeno il "temerario" premier inglese Boris Jonhson ha perseguito, pur avendola annunciata in prima battuta - ma nemmeno una linea dura basata su chiusure ermetiche.


Una strategia perdente


Tra esaltazioni entusiastiche e notizie infondate, la realtà svedese è quella di un Paese che esce tutt'altro che vincitore in questo 2020 disastrato: le pesanti critiche alla gestione minimizzatrice di Stoccolma, non a caso, non sono arrivate solo dal monarca.

Lo stesso primo ministro Stefan Lofven ha accusato i funzionari della sanità svedese di aver sottovalutato la seconda ondata, che ha portato le terapie intensive della regione di Stoccolma al collasso: 99% dei posti letto occupati, di cui ben la metà per Covid.


Ma è dall'interno del sistema sanitario svedese che emerge il fallimento della strategia riduzionista: la situazione è «terribile» per Sineva Ribeiro, presidente dell'Associazione svedese dei professionisti della salute. Come dichiarato a Bloomberg, Ribeiro ha dato conto delle dimissioni in massa di operatori sanitari, stressati dalla mole di lavoro. E nemmeno gli aiuti esterni chiesti da Stoccolma sono sufficienti per affrontare l'emergenza sanitaria.


Il contagio va contrastato: è l'unica morale possibile


Difficile trovare modelli vincenti in questa pandemia, quanto meno restando in ambito europeo. Ancora più difficile confrontare la gestione di Paesi lontani, soprattutto di fronte a un virus che colpisce in modo tutt'altro che orizzontale, sia dal punto di vista clinico che sociale. Fatto sta che l'uso corretto delle mascherine e il distanziamento fisico restano pilastri inamovibili se non si vuole lasciar fluire liberamente il virus: una strategia degna dei vecchi padroni delle ferriere, non a caso caldeggiata - più o meno esplicitamente - dagli ambienti confindustriali del Belpaese.


Il virus esiste, circola aggressivamente e va combattuto. Qualunque altra considerazione è ben accetta, purché non metta in discussione questa base di partenza. Forse gli unici modelli vincenti sono quelli che davvero privilegiano la salute sull'economia, ma per farlo concretamente è necessario uno Stato sociale robusto e in grado di sostenere pubblicamente l'economia.

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