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Mapuche, gli indios che lottano per la terra con i Benetton

di Ruggero Tantulli


Con un blitz nella notte di Natale, alcuni nativi hanno occupato una fattoria di proprietà del gruppo tessile veneto, nella Patagonia argentina, rivendicando diritti ancestrali. Ma chi sono gli indigeni mapuche che vivono tra Cile e Argentina?


La notte tra il 25 e il 26 dicembre scorsi, nella Patagonia argentina, alcuni nativi mapuche hanno occupato una parte dell'appezzamento della fattoria El Maitén, di proprietà della famiglia Benetton, rivendicando «diritti ancestrali» su quelle terre. «Abbiamo recuperato ciò che ci è stato rubato - hanno spiegato gli indigeni della comunità Lof Kurache, nella provincia di Chubut, - per la necessità primaria di continuare a esistere nel nostro territorio».


Il blitz natalizio è avvenuto occupando circa mille dei 120 mila ettari del terreno pertinente alla fattoria. La Compañía tierras sur argentino, multinazionale che fa capo alla famiglia trevigiana, ha risposto facendo denuncia alla polizia. La fattoria a sua volta fa parte di un insieme di 924mila ettari totali, sempre di proprietà della multinazionale. Una superficie equivalente a quella delle Marche.

Il fatto riporta agli onori della cronaca una vicenda che riassume magistralmente le caratteristiche del capitalismo neoliberista e i rapporti di forza che ne derivano.


Chi sono i mapuche


Nella lingua madre, il mapudungun, mapuche significa "popolo della terra". Nomen omen per questo antico popolo amerindo che vive tra l’Argentina e il Cile, il cui culto si basa sulla venerazione della terra e la cui principale fonte di sussistenza è l’agricoltura. E in difesa della terra, nel pieno dell’emisfero australe, gli indios mapuche hanno resistito nei secoli prima all'impero inca e poi ai conquistadores spagnoli, cedendo solo nell’Ottocento al dominio degli Stati nazionali cileno e argentino.


Etnia variegata e perseguitata, i mapuche oggi non arrivano a due milioni, distribuiti tra il fiume Aconcagua e la pampa argentina. Alcuni di loro, per i quali è stato inventato il neologismo mapurbe, si sono spinti nell'area metropolitana di Santiago del Cile, nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita. Accusati di violenze e addirittura terrorismo dalle autorità, i nativi mapuche rivendicano il riconoscimento dei crimini commessi dai governi centrali, a partire dalla spoliazione delle loro terre, e la piena sovranità sui territori originari dell’etnia per difendere l'ecosistema, la biodiversità e l’acqua come bene non privatizzabile.


Solo tra il 2017 e il 2018, nel "conflitto mapuche" sono morti l'attivista 28enne Santiago Maldonado, scomparso dopo una manifestazione dispersa dalla polizia argentina e ritrovato cadavere qualche mese dopo, Rafael Nahuel, 22enne ucciso durante uno sgombero delle truppe speciali a Villa Mascardi, e Camilo Catrillanca, 24enne ammazzato dai carabineros cileni mentre guidava un trattore.


Dalla "conquista del deserto" all’insediamento dei Benetton


Lo scontro tra le popolazioni native e gli industriali tessili veneti parte da lontano. Con la “conquista del deserto” di fine ‘800, il governo argentino strappa militarmente la Patagonia alle popolazioni indigene, al prezzo di un genocidio poco ricordato. Un colonialismo capitalista spacciato per civilizzazione, che dà il via alla spartizione delle terre in poche mani.


Nel 1896 il presidente argentino José Evaristo Uriburu dona (violando la legge) 924mila ettari a dieci cittadini inglesi, i quali li rivendono (violando di nuovo la legge) a una compagnia privata. La società proprietaria dei terreni, divenuta nel 1982 Compañía tierras sur argentino, viene acquistata nel 1991 dal gruppo Benetton per 50 milioni di dollari, attraverso la Holding edizione real estate: i mapuche vengono sfollati per non intralciare il progetto commerciale.


Oggi è la più grande proprietà terriera argentina, con un’estensione pari quasi al triplo rispetto alla Valle d'Aosta. Lì vengono allevati 260mila ovini la cui lana finisce nei capi di abbigliamento europei firmati Benetton e 16mila bovini destinati al macello. Ma non solo: nelle terre dei moderni latifondisti veneti, ricche di materie prime, la Compañía mineras sur argentino sfrutta i giacimenti di oro e d’argento.


Come racconta sul Fatto Quotidiano il professor Massimo Venturi Ferriolo, dimessosi dal comitato scientifico della Fondazione Benetton a Treviso in polemica con la “questione mapuche”, Luciano Benetton non vuole cedere. Al contrario dei nativi, che si appellano al diritto alle terre ancestrali sancito dalla Costituzione argentina, l’imprenditore italiano sostiene la legittimità dell’acquisto e nega la cacciata dei mapuche. Un muro invalicabile, come provato dallo scrittore argentino premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel, che nel 2004, insieme all'allora sindaco di Roma Walter Veltroni, tentò invano di mediare con Benetton, bollandolo così: «Lei è un antico signore feudale».

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