di Gianluca Mavaro
Nonostante la pandemia i ricoveri in terapia intensiva in Svezia sono in numero inferiore al confronto con gli anni precedenti. E rispetto alla prima ondata, le rianimazioni accolgono la metà dei pazienti Covid. Le autorità non hanno mai fatto "mea culpa" e la strategia non è mai cambiata. Stessa sorte non è toccata a Paesi ben più rigidi, come l'Italia, dove il numero di pazienti della seconda ondata ha superato quello della prima. Il punto sul modello svedese e sulle critiche infondate (e le bufale) ad esso rivolte.
Sommario
La Svezia è al collasso?
Non proprio: la seconda ondata di coronavirus ha colpito la Svezia meno della prima. Non solo i morti, ma anche i ricoveri in terapia intensiva dei pazienti Covid sono meno della metà di quelli raggiunti durante il picco primaverile.
La notizia sugli ospedali pieni a Stoccolma
L'ospedale di Stoccolma il 9 dicembre ha raggiunto una saturazione del 99% nelle terapie intensive, come riferito dai media di tutto il mondo. I pazienti Covid però rappresentano la metà dei ricoverati e il giorno della notizia, erano in diminuzione in quel ospedale, così come nel resto del Paese. Dall'11 dicembre diminuiscono costantemente anche i nuovi ingressi di positivi al Covid nelle terapie intensive di tutti gli ospedali nazionali. Il grafico dell'agenzia svedese sulle terapie intensive segna chiaramente una pressione dimezzata per gli ospedali svedesi. In primavera erano quasi 600 pazienti Covid in terapia intensiva, ora sono 250. Ecco i pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva in Svezia da marzo ad oggi (in giallo sono indicati casi che non si riferiscono alla data indicata ma sono stati segnalati in ritardo dalle strutture ospedaliere).
In primavera, il giorno peggiore era stato il 23 aprile, con 66 ingressi in terapia intensiva; in inverno il 2 dicembre, con esattamente la metà: 33. È quindi evidente: in Svezia la seconda ondata ha un'intensità dimezzata rispetto alla prima.
Terapie intensive in Svezia: meno ricoveri con la pandemia
Nessuna catastrofe emerge nemmeno dal confronto del 2020, annus horribilis del coronavirus, con la situazione degli anni passati. Anzi, il contrario. I ricoveri in terapia intensiva risultano addirittura di meno. Stesse proporzioni per i pazienti gravi con malattie respiratorie che, nel Paese scandinavo rappresentano ogni anno oltre il 90% del totale. Solo la capitale registra un piccolo incremento, ma non sembra incidere sul dato nazionale.
Svezia modello internazionale di lotta al Covid
«Penso che ci sia la percezione che la Svezia non abbia messo in atto misure di controllo e abbia semplicemente lasciato il virus diffondersi. Non credo esista nulla di più lontano dalla verità. La Svezia ha adottato una politica di prevenzione e salute pubblica ad ampio spettro».
(Mike Ryan, capo del Programma delle emergenze sanitarie dell'Oms, 29 aprile 2020, Ginevra).
La Svezia è sicuramente un caso particolare nel panorama pandemico mondiale: poche restrizioni - o nessuna - e di breve durata. La seconda ondata sta colpendo ora soprattutto a Stoccolma, che ospita oltre un quinto di tutta la popolazione nazionale, per di più concentrata in quartieri ad elevatissima densità abitativa.
«Se dobbiamo arrivare a un nuovo modello di vita di ritorno alla società senza nuovi lockdown, penso che la Svezia possa essere un esempio da seguire».
(Mike Ryan, capo del Programma delle emergenze sanitarie dell'Oms, 29 aprile 2020, Ginevra).
L'epidemiologo di Stato Anders Tegnell è l'arteficie di quest'approccio. È l'uomo che aveva definito la rigidità delle regole di alcuni Paesi europei - soprattutto Francia, Spagna e Italia - «Un martello per schiacciare una mosca». Non ha mai fatto marcia indietro, limitando le restrizioni al minimo e lasciando spazio alla responsabilità individuale. Qualcosa però è stato fatto: si è arrivati a limitare l'orario di apertura e la vendita di alcolici di bar e ristoranti, e sospendere per brevi periodi la didattica in presenza ai ragazzi oltre i 16 anni. Proibite anche riunioni al chiuso con oltre cinquanta partecipanti.
La pressione sugli ospedali tedeschi e italiani
Cosa succede invece negli altri Paesi, dotati non solo di mascherine, ma anche di restizioni ben più severe e prolungate? L'Italia ha il numero di morti e di ricoveri per abitante tra i più alti del mondo. Lo stesso vale per altri Paesi che hanno introdotto misure molto severe.
Si percepisce, nei Paesi più colpiti, una sensibile efficacia delle misure di prevenzione? Hanno determinato una pressione minore negli ospedali rispetto alla prima ondata, quando eravamo impreparati?
Nei grafici si può provare a dare una risposta. Ecco l'evoluzione in Italia delle terapie intensive occupate dai pazienti Covid.
Non sembra che sia andata meglio con i ricoveri in area medica ordinaria. Il 3 aprile, il giorno più grave della prima ondata, i pazienti covid occupavano 4mila posti occupati in terapia intensiva più 32mila ricoverati, quello della seconda, il 25 novembre, c'erano 3.850 persone positive in terapia intensiva e 38mila degenti.
Non è una peculiarità italiana: anche in Germania la seconda ondata risulta più aggressiva della prima. I ricoverati in terapia intensiva sono addirittura il 30% in più, mentre il picco di decessi giornaliero è passato dai 300 della primavera ai 600 di questo dicembre.
In Svezia meno morti in più che nei Paesi dal lockdown rigido
Per quanto riguarda i dati sull'eccesso di mortalità nella prima ondata, scrive la rivista Nature «la Svezia ha avuto un aumento settimanale dei decessi inferiore rispetto a Paesi come Inghilterra e Galles, Spagna, Scozia, Italia e Belgio. Di conseguenza, l'impatto della mortalità in Svezia, in termini di eccesso di mortalità per 100.000 persone, si colloca tra quello subito dai Paesi con effetti moderati (ad esempio, Portogallo e Svizzera) e quello subito dagli Stati a effetti 'estremi' (ad esempio, Spagna e Inghilterra e Galles)». In parole povere: in Svezia quest'anno sono morte sì delle persone in più rispetto agli anni passati, ma quest'eccesso è notevolmente inferiore a quello registrato in Inghilterra e Spagna o Olanda e Belgio (E Italia).
Come si può vedere dai grafici, la curva della Svezia non supera, anzi si trova sotto, quelle di divesi Paesi.
Nella fascia d'età sotto i 64 anni i risultati sono ancora più contradditori, con l'eccesso di mortalità registrato in Svezia in primavera di fatto compensato da un declino dei decessi nei mesi successivi. Non si può dire lo stesso per tanti Paesi. Italia compresa.
Il confronto con gli altri Paesi scandinavi
Perché il coronavirus ha colpito di più la Svezia rispetto agli altri Paesi scandinavi? Nell'area di Stoccolma risiede gran parte della popolazione svedese, ed è lì che si è concentrato l'impatto dell'epidemia. Il numero assoluto di abitanti e la loro densità è notevolmente superiore rispetto a Oslo ed Helsinki. La densità abitativa dei quartieri centrali risulta superiore anche a quella registrata nelle grandi città italiane ed è inferiore in Europa solo a poche città, come Londra, Bruxelles o Parigi, dove il Covid ha colpito duramente.
Nelle scuole di Stoccolma sono iniziate le vacanze di primavera in un periodo di picco di trasmissione in molti altri Paesi europei, portando un grande afflusso di infezioni in città.
Malmö, la città più popolosa della Svezia, che aveva avuto una vacanza di primavera due settimane prima, a registrato un livello minimo di contagi, ha spiegato lo stesso Tegnell ai media inglesi. Il numero delle connessioni e dei viaggi da Stoccolma con il resto d'Europa sarebbe superiore rispetto alle altre capitali scandinave, riferisce Tegnell.
La Scania, regione di Malmö, fino a giugno aveva registrato appena 13 morti ogni 100.000 abitanti, rispetto ai 18 di Copenhagen, nonostante le restrizioni superiori nella capitale danese, demograficamente molto simile. Contagi e decessi in Svezia sono così concentrati su Stoccolma che è difficile vedere una connessione tra la strategia nazionale e l'eccesso di mortalità, concentrato nella capitale, ma inferiore a quello di altre grandi città d'Europa. Nel resto del Paese i morti registrati in più sarebbero quindi in linea con gli altri Paesi scandinavi.
La polemica con l'Italia
In sintesi in Svezia non «si muore come mosche», concetto che in molti sui social avevano fatto proprio. La discussione sul cosiddetto modello svedese, contestato negli altri Paesi, ha toccato anche le alte autorità di Stoccolma. La polemica ha lasciato degli strascichi su cui è più volte dovuta intervenire l'ambasciata svedese in Italia.
Polemiche dovute in parte alla bufale, circolate sui media dell'Europa centro-occidentale, condivise anche da diversi influencer. Mezza Europa ha creduto che in tutta la Svezia non si accettassero più anziani over 80 nelle terapie intensive. E si lasciassero morire. Il documento si riferiva soltanto all'eventualità di una saturazione totale e riguardava un solo ospedale, quello di Stoccolma, peraltro uno dei migliori del mondo. Questa saturazione in Svezia - come in Italia - non era avvenuta. In ogni caso, le autorità centrali hanno deciso di controllare i protocolli effettivamente in vigore in quell'ospedale, facendo partire un'indagine interna.
Gli svedesi non hanno mai avuto a che fare con il cosiddetto coprifuoco o con la cosiddetta autocertificazione, e nemmeno con il divieto di circolazione. «Reato di spostamento non giustificato», disse il premier Giuseppe Conte nella conferenza di inizio marzo. Quel reato non è mai esistito e non poteva esistere. Le prime norme sono state poi ritoccate col successivo d.l. del 25 marzo, per evitare la possibile illegittimità del primo decreto di fine febbraio, dei dpcm e quindi dei divieti e delle multe erogati ai cittadini.
In Svezia sono state rispettate delle garanzie legali che esistono anche in Italia, nella Costituzione. Con la pandemia sono state derogate con interpretazioni inedite di diversi articoli della Carta fondamentale italiana. Si è fatta invece piena applicazione della legge sulla Protezione civile. La sua più recente versione è stata completata in seno a Palazzo Chigi (è un decreto legislativo) ai tempi del governo Gentiloni, due mesi prima delle elezioni del 4 marzo 2018.
Niente lockdown, niente mascherine
«È affascinante come siano pochi gli studi su questo argomento. E se si guardano i paesi con regole severe, è difficile trovarne uno che se la sia cavata bene».
(Anders Tegnell, direttore dell'agenzia nazionale di sanità svedese. Intervista Reuters)
In Svezia è sconsigliato l'uso della mascherina, perché un impiego generalizzato ed improprio, secondo l'agenzia di sanità pubblica svedese, causerebbe più infezioni del suo mancato utilizzo: l'autorità scrive che «un dispositivo che prude e scende sotto il naso contribuisce a far sì che le mani spesso tocchino la bocca, gli occhi e il naso, il che può aumentare il rischio di diffondere l'infezione». Le autorità svedesi consigliano di usarla soltanto in luoghi chiusi e molto affollati, impossibili da evitare, come ad esempio i mezzi di trasposto pubblici.
Le mascherine chirurgiche, in effetti, sono progettate per l'uso in ambienti sterili da parte di personale sanitario specializzato e andrebbero continuamente sostituite. Da qui l'indicazione del governo svedese: popolo, non usatele. Anche altri Paesi, con risultati migliori della Svezia, come Norvegia, Danimarca e Finlandia non hanno imposto l'uso delle mascherine, se non al chiuso e nei trasporti pubblici. E solo da fine agosto. Durante la prima ondata l'Istituto norvegese di sanità pubblica a fine luglio ha esortato i propri cittadini di smetterla di prendere in giro chi indossasse volontariamente un mascherina.
Qual è l'incidenza allora delle restrizioni, dalle più stringenti alle più blande? L'isolamento severo, con il divieto - ora pare superato - di uscire di casa anche per praticare sport, il coprifuoco notturno e le mascherine all'aperto hanno una qualche efficacia scientificamente provata?
All'interrogativo hanno risposto alcuni scienziati italiani piuttosto noti:
«Il coprifuoco non ha una ragione scientifica, ma serve a ricordarci che dobbiamo fare delle rinunce, che il superfluo va tagliato, che la nostra vita dovrà limitarsi all’essenziale»
(Antonella Viola, immunologa dell'Università di Padova, sul dpcm di novembre)
«Si può fare di più. L'obbligo di indossare la mascherina all'aperto è un richiamo. Non importa se scientificamente ha senso oppure no. È un segnale di attenzione per noi stessi e per la comunità»
(Alberto Villani, membro del Cts, in un'intervista a Il Corriere della Sera)
E infatti, si legge sul sito della Federazione degli ordini dei medici e dei chirurghi, che quella svedese sulle mascherine è «un'interpretazione rigida molto rigida dei risultati della ricerca che, a livello internazionale, non è effettivamente riuscita a dimostrare in modo inequivocabile la maggiore efficacia protettiva dei dispositivi di protezione del viso».
C'è qualcosa che ci sfugge, e questo qualcosa non sembra "inequivocabilmente" scientifico. Non sorprende quindi che l'Italia veniva a-razionalmente dipinta dall'Oms e dal suo stesso governo come "modello di risposta alla pandemia". Come si è scoperto anche grazie all'inchiesta di Report linkata qui sotto, la verità era un'altra.
Altre dichiarazioni di Anders Tegnell
«Crediamo che l'immunità di gregge ci aiuterà a lungo termine, ma non stiamo cercando attivamente di ottenerla come è stato detto dalla stampa e da alcuni scienziati. Se avessimo voluto ottenere l'immunità di gregge non avremmo fatto nulla e avremmo lasciato che il coronavirus dilagasse nella società. Stiamo cercando di mantenere la velocità di trasmissione più bassa possibile. Abbiamo preso misure ragionevoli senza danneggiare la sanità o le scuole. Stiamo perseguendo una strategia sostenibile, cosa che noi possiamo continuare a fare per mesi. Il coronavirus non è qualcosa che sparirà. Qualsiasi paese che crede di poterlo tenere fuori (chiudendo le frontiere, chiudendo le aziende, ecc.) capirà a un certo punto di avere probabilmente sbagliato. Dobbiamo imparare a convivere con questa malattia»
(Anders Tegnell, direttore dell'agenzia nazionale di sanità svedese)
«Mi pare chiaro, quando si parla con gli specialisti del settore, ce sembra esserci un numero considerevole di persone che non sviluppano anticorpi, ma che sembrano comunque immuni»
(Anders Tegnell. Intervista al Telepraph)
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